tartufo bianco

I prodotti enogastronomici più costosi

Ci sono alcuni cibi che risultano decisamente fuori dalla portata di tutti per quanto riguarda l’accessibilità economica, tanto da guadagnarsi una classifica a sè stante dei prodotti enogastronomici più costosi. Si tratta di alimenti non facili da trovare e che si caratterizzano per profumi, sapori e conseguenti emozioni uniche nel loro genere, tanto da rendere il prezzo giustificato.

Veri e propri must dai prezzi astronomici, come il tartufo bianco di Alba, specialità piemontese proposta a prezzi decisamente poco accessibili: basti pensare che un investitore di Hong Kong ha pagato ben 117.000 euro per 1,5 kg di questo pregiato tubero. Tra i prodotti enogastronomici più costosi troviamo anche il caviale ed in particolare una rara e pregiata qualità originaria dell’Iran, proposta a quasi 20.000 euro, cifra che comprende anche un packaging realizzato con una scatola d’oro a 24 carati. Proseguiamo con un melone, ma non uno qualunque, bensì il melone di Yubari, rarissima varietà giapponese il cui prezzo può arrivare a sfiorare addirittura i 17 mila euro, anche perchè annaulmente ne vengono prodotti meno di 100 esemplari.

Tra i prodotti più particolari c’è sicuramente la ‘pizza 007’, una versione altamente personalizzata, e costosa, della pizza made in Italy, proposta in Scozia: è la farcitura a fare la differenza dal momento che si utilizzano prodotti come caviale, pesce assortito, aragosta marinata nel cognac, prosciutto di Parma ed una serie di altri ‘pregiati’ ingredienti, andando a completare il tutto con foglie d’oro a 24 carati, che fanno ‘lievitare’ il valore del piatto fino a 3800 euro. E perchè, per concludere in bellezza, non concedersi una rara ma gustosa anguria nera dell’Hokkaido, regione situata nel nord del Giappone: un prodtto che da solo vale la bellezza di quasi 4500 euro. Del resto se ne possono trovare solo una dozzina l’anno, una vera rarità.

I 10 ristoranti più costosi d'Italia

I 10 ristoranti più costosi d’Italia

L’Italia è la nazione votata alla cucina di qualità, ricca di ristoranti, bistrot e trattorie che servono piatti in grado di regalare emozioni alle buone forchette, offrendo a complemento dell’alta valenza gastronomica e nella ricerca creativa, un servizio professionale ed un’atmosfera da sogno. Il buono però si paga: vediamo dunque quali sono i 10 ristoranti più costosi d’Italia. Tra i più cari in assoluto vi è ‘La Pergola‘, ristorante dell’Hotel Cavalieri Hilton a Roma, con prezzi che possono toccare anche i 200 euro per un pranzo completo con vista sulla Capitale. Locale particolarissimo nella top ten dei ristoranti più costosi d’Italia è ‘Solo per Due‘ a Vacone, in provincia di Rieti, con due soli posti a sedere e menù su misura in base alle preferenze della clientela.

In provincia di Mantova vi è invece ‘Dal pescatore‘, di Canneto sull’Oglio, nella riserva naturale dell’Oglio sud, dove gustare piatti raffinati preparati secondo tradizione. Prezzi da capogiro ma anche qualità al top per l’Enoteca Pinchiorri di Firenze, nello storico palazzo Jacometti-Ciofi, con menù degustazione proposti intorno ai 200 euro. Non poteva certo mancare il ristorante ‘Cracco‘ di Milano, in via Victor Hugo, certamentre tra i 10 ristoranti più costosi d’Italia ma anche qualitativamente al top con una cucina creativa in un ambiente di straordinaria eleganza. A Civitella del Lago, provincia di Terni, c’è il ristorante ‘Vissani‘, con prezzi medi di 150 euro, mentre ad Alba, nel cuneese, il ristorante ‘Piazza Duomo‘ regala emozioni con una cucina rispettosa della tradizione regionale.

Completano la top ten il ‘Gambero Rosso‘ di San Vincenzo, in provincia di Livorno, con una media prezzi di 120 euro per un pasto completo. A Brusaporto (Bergamo) invece, il top dei più costosi è ‘Da Vittorio‘, mix di genio creativo e tradizione lombarda. Mentre per gustare i piatti minimal e particolari del ‘Bomval Zero‘ di Rivoli, bisogna essere pronti a spendere anche 120 euro.

Una panoramica sul settore della ristorazione

Il profilo del consumatore/fruitore di servizi di ristorazione e ricezione alberghiera è cambiato rispetto agli ultimi anni.

In concordanza con gli stili di vita e con i nuovi trend che si osservano nella popolazione (invecchiamento della popolazione, aumento del tempo che le persone trascorrono fuori casa ogni giorno, maggiore partecipazione delle donne al mondo del lavoro etc.) è cambiato anche il profilo del cliente “medio”: sicuramente è aumentato il livello di informazione, reperibile molto più facilmente rispetto al passato, inoltre il fruitore di questi servizi è più mobile, ha meno tempo, è alla ricerca di esperienze significative ed è più attento al rapporto qualità prezzo, il rapporto di fedeltà con un determinato punto vendita è meno forte e il soggetto è più aperto a nuove soluzioni e possibilità di consumo. Un’altra caratteristica del nuovo consumatore di servizi legati alla ristorazione e all’accoglienza è che, data la sua mobilità, ha la necessità di trovare il servizio che può soddisfare le sue esigenze in ogni luogo che frequenta, che sia l’ufficio, la stazione del treno o della metro, la palestra, il centro commerciale o la scuola.

 

L’attività di ristorazione che riscuote il maggior successo nella realtà italiana è ancora la pizzeria/trattoria, seguita tutt’altro che a sorpresa, dai bar. Queste attività hanno nel corso degli anni ampliato e diversificato l’offerta di servizi al fuori della ristorazione in senso stretto: è molto comune ormai trovare ristoranti con menù convenienti a prezzo fisso per i lavoratori che non hanno il tempo per tornare a mangiare a casa durante la pausa pranzo; inoltre molti bar e locali trasmettono partite ed eventi sportivi e hanno colto e valorizzato delle nuove abitudini, come ad esempio quella di ritrovarsi per l’aperitivo, magari all’uscita dall’ufficio, rendendo l’happy hour un’istituzione.

Un dato interessante è anche la sempre maggiore presenza di ristoranti specializzati in cucina etnica/esotica/asiatica sul territorio nazionale, con personale e gestori delle rispettive nazionalità (non italiani).

Le formule che sembrano funzionare sono quelle che uniscono qualità dei prodotti, tempi ristretti per la fruizione del servizio, modalità di preparazione “da passeggio”, che permettono il consumo mentre si cammina o si svolgono altre attività (modalità take-away e simili).

 

Ciò che emerge dal rapporto annuale FIPE del 2012 sulla ristorazione è una generale contrazione dei consumi delle famiglie; a sorpresa però la riduzione più evidente è legata al consumo casalingo piuttosto che ai consumi alimentari fuori dalle mura domestiche (-8,6 % a fronte dello -0,5%).

Le regioni con maggiore presenza % di attività di ristorazione (dati riferiti a dicembre 2011) sono la Lombardia, con il 15,4%, seguita dal Lazio (10,5%) e dalla Campania (9,0%). E’ evidente quindi che la diffusone delle imprese segue più che altro fattori come la densità di popolazione piuttosto che variabili strettamente economiche, come la propensione al consumo, il reddito etc.

 

Per quanto riguarda il comparto bar, sempre al dicembre 2011, risultavano iscritte alle Camere di Commercio 141.764 attività con il codice 56.3, che individua i servizi di bar e altri locali senza cucina). Da sole 6 regioni (Piemonte, Lombardia, Veneto, Emilia Romagna, Toscana, Lazio e Campania) possiedono i 2/3 delle imprese in questo settore.

 

Il turn-over imprenditoriale del settore della ristorazione continua ad essere molto elevato, a testimonianza della fragilità della rete di attività in questo settore, ulteriormente aggravata dalla crisi. Nel 2011 hanno chiuso circa 6mila attività (considerando questa quantità come saldo tra 15mila nuove attività aperte e 21mila attività cessate).

 

Per quanto riguarda l’occupazione, se si considera l’ambito aggregato di alberghi e pubblici esercizi, il comparto della ristorazione rappresenta i 3/4 della forza lavoro totale. Il lavoro resta la componente essenziale per la produzione di servizi di ristorazione e accoglienza alberghiera e turistica e generalmente la crescita di questi settori si accompagna ad un aumento dei tassi di occupazione, mentre un’eventuale contrazione non necessariamente si riflette negativamente sui livelli occupazionali. Ciò è confermato dal fatto che anche durante la crisi l’input di lavoro in questi settori è risultato comunque in crescita. L’effetto negativo si è scaricato invece più che altro sul lavoro indipendente, che ha iniziato a dare segnali di ripresa solo nel corso del 2011.

 

I settori dell’accoglienza e della ristorazione sono fortemente soggetti all’andamento dell’economia di un paese, rispecchiando possibilità e priorità delle persone, ma sono influenzati anche da trend più o meno persistenti come l’attenzione per l’ambiente e il patrimonio culturale, la provenienza a “KM 0” dei prodotti, la sostenibilità di determinati modelli turistici etc.

La tendenza recente è quella di preferire la qualità alla quantità: sempre più persone infatti scelgono soggiorni brevi e “densi”,magari distribuiti nel tempo, rispetto alla lunga vacanza estiva in un solo luogo.

La ricerca dell’esperienza unica e appagante è quindi diventata assolutamente fondamentale per il viaggiatore, per cui le professionalità all’interno delle strutture ricettive e ristorative dovranno essere sempre più formate in questa direzione per poter cogliere e soddisfare tali esigenze specifiche. I viaggiatori sono alla ricerca di luoghi, storie, racconti che possano portare via con sè al ritorno, vogliono imparare qualcosa di nuovo e vivere esperienze attive ed emotivamente coinvolgente, identificarsi con i luoghi (da qui percorsi storici- artistici, fattorie didattiche, alberghi a tema e “diffusi” all’interno del centro storico dei borghi, ristoranti con prodotti esclusivamente di stagione, a KM 0, biologici, degustazioni, botteghe artigiane che recuperano imestieri antichi, viaggi con risvolto sociale/ ambientale e così via).

Di conseguenza le nuove frontiere della ristorazione e dell’ospitalità richiedono sempre più frequentemente figure professionali con profili trasversali al settore turistico, con una formazione più ampia e articolata, anche universitaria e post-universitaria; persone che possiedano legami con la storia e la cultura del territorio, magari con esperienza delle nuove tecnologie informatiche che rendono più facile la divulgazione di iniziative e contenuti e la creazione di network. Chi è interessato al lavoro in questo settore deve quindi prestare una particolare attenzione alla formazione e al continuo aggiornamento delle proprie professionalità, oltre che alla conoscenza del luogo in cui opera  dal punto di vista storico, artistico, sociale e ambientale.

Un esempio delle professioni del futuro? L’organizzatore di viaggi “slow”, il costruttore di narrazioni legate ai luoghi, il fund raiser per iniziative di conservazione e preservazione del patrimonio naturalistico e storico-artistico-culturale e naturalmente il “trend setter”, colui che anticiperà le nuove tendenze nella fruizione turistica disegnando prodotti innovativi per i viaggiatori del domani.