lavoro cameriere

Lavoro nella ristorazione: il cameriere

Il mercato della ristorazione in Italia è un mercato particolare. Fatto di eccellenze e realtà che non riescono a decollare. Sono molti quegli imprenditori che provano a dare nuova vita ad un ristorante o una locanda storica in declino, come molti altri invece riescono a esprimere un’arte attraverso l’enogastronomia, la riceca dei prodotti e dei sapori. I programmi Tv sulla cucina sono tra i più seguiti al mondo, come i cuochi italiani i più ricercati e i più bravi. C’è una costante, tra tutti i ristoranti, taverne o locande, che può guidare il gusto, consigliare o invogliare: il cameriere.

lavoro cameriere
lavoro nella ristorazione: cameriere

E’ di fatto la figura numericamente più importante del ristorante. In Italia si stima che per ogni cuoco ci siano sei camerieri. Spesso in città universitarie vediamo camerieri giovani dall’aria svogliata e anche un pò stanca aggirarsi tra i tavoli in cerca di una vocazione.
Essendo in Italia, quella dei ristoranti, una realtà assai variegata, non è possibile codificare uno stile, ma, ci sono degli elementi che un cameriere dovrebbe avere non solo per garantire il servizio, ma per rendere la cena o il pranzo un momento piacevole da parte di chi lo consuma. Le caratterististiche essenziali sono la pulizia, la buona padronanza della lingua, la conoscenza dei piatti ed empatia verso i clienti.
Nella maggior parte dei casi non è prevista una formazione specifica, anche se caldamente consigliata. Ricordiamo che il cameriere è la faccia del ristorante come il piatto ne è il prodotto. Un cameriere sorridente, che cerca di capire i gusti e lo stile del cliente, saprà consigliare, parlare ed emozionare il cliente. Come? Ad esempio raccontando un piatto. Il cameriere che parla, descrive la materia prima, il motivo della scelta, le tecniche usate e i metodi di cottura faranno conoscere il piatto sotto un’altra veste, esaltando gusto ed aroma. Il cliente sarà così più attento al piatto, alla materia prima usata, alle sfumature altrimenti difficilmente percepibili da un palato non abituato. Il palato va educato, e chi in un ristorante può riuscire in quest’operazione meglio del cameriere?
Stessa cosa per il vino. Non sempre un ristorante ha un sommelier, ma un buon cameriere dovrebbe saper guidare il cliente nella scelta del vino migliore in cantina da accompagnare alle pietanze scelte.
Il cameriere viene visto nella maggior parte dei casi invece come un ripiego. Un lavoro per studenti per arrotondare, tanto deve solo portare a tavola un piatto. Oppure un lavoro per guadagnare di più quando in famiglia si hanno ristrettezze.
Niente di più sbagliato. Il cameriere conta in sala come lo chef in cucina. Il cameriere è un lavoro a tutti gli effetti che può fornire una grande opportunità, possibilità di crescita, autonomia e conoscenza di un settore dinamico e in continua evoluzione come lo sono i gusti e la complessità dei piatti ricercati e proposti.
Lo stipendio medio di un cameriere a Bordeaux è di oltre 55.000€, in Germania oscilla tra i 15.000€ e i 20.000€ annui. In Italia la media è molto più bassa. Un cameriere italiano che svolge l’attività a tempo pieno non supera i 900€ mensili netti.
Grandi testate di settore come Gambero Rosso denunciano questo fattore, sottolineando come il cameriere è l’ossatura dell’azienda Ristorante e come, se correttamente formato, può cambiare le sorti in sala e nel conto economico del ristorante.

visita in cantina con pranzo e degustazione

Visita in cantina con pranzo e degustazione alle porte di Roma

Paola Di Mauro è uno di quei personaggi che un appassionato di vino non può non conoscere. Oltre a produrre vini mai banali, la “Signora del vino” incarna il sogno che tutti vorrebbero realizzare, quel sogno di passare dal lavoro di una vita al lavoro della vita. Tutto nasce quasi per caso, quando nel 1968 la famiglia Di Mauro decide di vendere la casa nella “caotica” (sic!) Fregene e acquistare una villa alle porte di Roma, in campagna e vicino al lago (di Albano), con 4 ettari di vigna intorno.
Oggi il lavoro è portato avanti da Valerio e suo padre Armando che ci aprono le porte dell’azienda (e non solo).
Dopo la visita alla cantina, dove potremo sentire direttamente da Valerio come nascono i loro vini (premiati dalle maggiori guide nazionali) si prosegue con un pranzo in cui avremo la possibilità di assaggiare tutte le tipologie di vino in produzione:

VINI BIANCHI
Coste Rotonde
Donna Paola
Le Vignole

VINI ROSSI
Collerosso
Perlaia
Il Vassallo

Il Menù è in via di definizione, ma sarà composta da un antipasto, 2 primi, un secondo, contorno, dolce, acqua e caffè.

DOVE: azienda COLLE PICCHIONI
via di Colle Picchione 46 – Frattocchie (RM)

QUANDO: 12 DICEMBRE 2015 – ORE 11

COME: prenotazione OBBLIGATORIA, il costo totale è di 40 Euro, comprensivo di iscrizione all’Associazione Culturale Incontri di Vite.

Per info e iscrizioni:
mail: incontridivite@gmail.com
tel: +39 347 0558747

Link: https://www.facebook.com/events/1645851865690757/

 

Dom Pérignon, il monaco che inventò lo champagne

Tutti sanno cosa sia il Dom Pérignon, ma pochi in realtà sanno chi sia Dom Pérignon.
Secondo alcune fonti la marca francese dello champagne più famoso del mondo prenderebbe il nome da un monaco benedettino, Pierre Pérignon, che nel lontano XVII secolo avrebbe inventato il vino con le bollicine. Nel 1688 Dom Pierre mette in atto il procedimento che per la prima volta rende i vini di Champagne, in origine rossi e fermi, “spumanti”, cioè dotati di schiuma e bollicine.
Monaco di “professione” e fine enologo per passione, Pérignon si dedicò alle vigne dell’abbazia di Hautvillers, nella regione francese della Champagne, dove era entrato nel 1668 come tesoriere e economo. Tra le sue mansioni era prevista anche la cura delle vigne, un lavoro che lo appassionò molto, tanto è vero che alla sua morte Dom Pierre lasciò ventiquattro ettari di terreno perfettamente tenuti, che producevano vini di buona qualità e molto apprezzati, riuscendo, proprio grazie alla produzione vinicola, a risanare le finanze dell’abbazia.
Secondo la leggenda lo champagne non sarebbe stato il frutto di un’intuizione o di un esperimento voluto, ma semplicemente il risultato di un errore. Il benedettino avrebbe scoperto la cosiddetta “presa di spuma” accorgendosi che alcune bottiglie di vino, lasciate in cantina ad affinare, erano scoppiate. Dom Pérignon infatti aveva avuto l’idea di far colare della cera d’api all’interno del collo delle bottiglie per assicurare una chiusura ermetica. Ma dopo qualche settimana, a causa dell’eccessiva pressione, le bottiglie scoppiavano, fu così che Pierre scoprì la “methode champenoise”.
Secondo un’altra versione, invece, Dom Périognon avrebbe scoperto la spuma dello champagne per caso; aromatizzando il vino con fiori e zucchero si sarebbe accorto che questi producessero una specie di spuma al momento dell’apertura delle bottiglie.
Se possiamo nutrire dei dubbi sulla sua effettiva invenzione dello champagne, non si può non riconoscergli il fatto di aver apportato dei miglioramenti nelle tecniche di produzione dei vini. Dom Pérignon, attraverso la sua attività, maturò nel corso degli anni una mirabile esperienza e conoscenza sulla coltivazione della vite, ricavando molte informazioni che successivamente annotò nelle sue memorie. Il monaco si era messo a studiare le varie tipologie di uva e ne studiava il prodotto. Si dice che fosse astemio ma che avesse un palato e un gusto così raffinato che assaggiando un solo acino d’uva riusciva a individuarne la zona di provenienza. Sapeva come scegliere le piante in base al tipo di terreno, come tagliarle, come mescolare le uve. Escogitò infatti la tecnica dell’assemblaggio, che consiste nel mettere insieme uve del medesimo tipo ma provenienti da zone diverse per ottenere annate omogenee e di qualità superiore. Contribuì notevolmente a migliorare la qualità dei vini dell’epoca, privilegiò il pinot noir, più adatto alla produzione dello champagne, rispetto al bianco, capì l’importanza di cogliere l’uva matura, migliorò la stabilizzazione dei vini. Si dice che fu sua anche l’idea di sostituire i tappi di legno con quelli di sughero, più leggero, impermeabile, molto più adatto a conservare la spuma dei vini. Sua sarebbe anche l’invenzione della gabbietta metallica. Ma soprattutto, sempre secondo la tradizione, ebbe l’intuizione di unire lo Chardonnay bianco con il Pinot nero, aprendo la strada alla leggenda del Dom Pérignon che conosciamo oggi. Insomma in conclusione diede un grande impulso alla produzione e al commercio di vino di tutta la regione dello Champagne.
I “detrattori” del monaco benedettino sostengono che Dom Pérignon non solo non abbia inventato lo champagne, ma che addirittura abbia passato la vita a cercare una soluzione per i suoi vini, che avevano quel fastidioso, quanto inspiegabile, difetto di rifermentare nelle bottiglie una volta giunta la primavera. Dom Pierre avrebbe quindi sempre cercato il modo di eliminare effervescenza e bollicine, che d’altra parte per molti suoi contemporanei rappresentavano una “depravazione del gusto”.
La stessa scuola di pensiero riconduce l’invenzione dello champagne agli inglesi. In effetti ad oggi non è stato ritrovato alcun documento, né tra le memorie di Dom Pérignon, né tra quelle dei suoi allievi, che attesti l’invenzione del vino con le bollicine. Al contrario a Londra esiste uno scritto datato 1662, quindi ben sei anni prima dell’arrivo di Dom Pérignon all’abbazia di Hautvillers, in cui l’autore fa riferimento a un procedimento che veniva messo in atto abitualmente da tavernieri e mercanti di vino inglesi. Pare che questi aggiungessero grandi quantità di zucchero e melassa in ogni tipo di vino per renderlo vivo e frizzante, e che poi lo conservassero all’interno di bottiglie di vetro molto più solide di quelle francesi e resistenti alla pressione. Con la primavera e l’aumento della temperatura la fermentazione riprendeva provocando il rilascio dell’anidride carbonica che, al momento dell’apertura, produceva le famose bollicine.

L’universo del vino: I 10 sommelier migliori del mondo

L’universo del vino attrae sempre più curiosi e il nettare degli dei, per i sommelier, da semplice passione, diventa sempre più spesso un’opportunità di lavoro e carriera. Negli ultimi anni si sono moltiplicati i corsi di formazione per assaggiatori e degustatori, e la fama e il prestigio dei sommelier sono cresciuti esponenzialmente, in Italia come all’estero.
Numerose associazioni sono state fondate con l’obiettivo di promuovere il prodotto vino e i professionisti che gli orbitano attorno, organizzando spesso gare e competizioni su scala europea o mondiale. Tra i concorsi più noti attualmente c’è quello organizzato dall’Association de la Sommellerie Internationale, competizione molto prestigiosa con cadenza triennale e quello della Worldwide Sommelier Association (nata da un’iniziativa dell’Associazione Italiana Sommelier), che ogni anno elegge il  Best World Sommelier. Entrambi i concorsi, sebbene spesso in conflitto e disaccordo tra loro, sfornano regolarmente le migliori leve della sommellerie mondiale, che vi facciamo conoscere meglio in questa nostra top ten.

Luca Gardini
Figlio d’arte, a soli 23 anni diventa miglior sommelier d’Italia. Inizia a muovere i primi passi nel settore dopo essersi formato alla tre volte stellata Enoteca di Firenze, sotto la guida di Giorgio Pinchiorri. Può vantare una collaborazione con uno dei ristoranti più famosi del mondo, l’inglese The fat duck e ha lavorato presso il Cracco di Milano, di cui è proprietario il noto chef omonimo. Il vino non è la sua unica passione, nel 2009 si è aggiudicato il titolo di miglior sommelier d’Europa grazie ad una originale proposta di acqua minerale.

Paolo Basso
Italo-svizzero, è forse il professionista più titolato: dopo essere arrivato per ben tre volte a un passo dalla vittoria come vice campione, nell’aprile del 2013 riceve finalmente il premio come miglior sommelier del mondo, a Tokyo. La sua “filosofia degustativa” è improntata alla scoperta: l’aspetto più affascinante del suo lavoro sta nel fatto che ci sia sempre tutto da scoprire; nulla, in ciò che riguarda il vino, può essere considerato assodato.

Luca Martini
Aretino di 33 anni, è sommelier presso l’Osteria Da Giovanna, ristorante della sua città. Ha avuto la fortuna di lavorare a Londra con Steven Spurrier, nota firma di «Decanter magazine», una delle riviste di settore più autorevoli al mondo. Oltre a gestire la cantina dell’Osteria è impegnato nel settore della formazione e in quello del marketing, collabora infatti con un’agenzia di comunicazione.

Gérard Basset
Francese di nascita ma cittadino britannico da molti anni, Basset è stato il fondatore della catena di alberghi di lusso dedicati al nettare degli dei: gli Hotel du Vin. Per il contributo offerto al settore dell’ospitalità in Gran Bretagna, ha ricevuto l’onorificenza di Officer of the Order of the British Empire (OBE). Nonostante ne abbia fatto una professione e un business, per lui il vino è soprattutto “piacere e convivialità”.

Olivier Poussier
Da circa vent’anni affianca, in qualità di sommelier, i più importanti chef europei. È responsabile degli acquisti del gruppo Lenôtre e lavora come consulente per diverse grandi aziende, non tutte francesi e non tutte del settore gastronomico, come Air France e Heineken. Scrive e interviene costantemente sulla stampa specializzata e collabora alla redazione della guida Les meilleurs vins de France, edita dalla «Revue du vin de France».
Aldo Sohm
Italiano di nome, austriaco di origini e statunitense di adozione, Sohm diventa il miglior sommelier del mondo nel 2008, ma già negli anni precedenti si fa notare per la sua competenza: nel 2006 il New York Magazine lo indica come miglior sommelier in circolazione nella grande mela. In questa stessa città Aldo lavora come wine director in un noto e pluristellato ristorante, Le Bernardin.

Andreas Larsson
Lo svedese Larsonn, “incoronato” nel 2007, ha saputo conquistarsi un’ottima reputazione a livello internazionale come degustatore preparato e raffinato. Il suo ingresso nel mondo dell’enogastronomia avviene in veste di chef, ma ben presto scopre una vera passione per il vino, coltivata durante numerosi viaggi in Europa. Ha una particolare predilezione per i vini francesi.

Enrico Bernardo
Altro italiano ad essere salito sul podio della sommellerie internazionale, Bernardo è il più giovane professionista della storia a ricevere il titolo di miglior sommelier del mondo, nel 2004, all’età di 27 anni. Ha aperto due ristoranti e una boutique a Parigi. Oggi si occupa di formazione e gestisce una società di consulenze per aziende che producono e distribuiscono vino e, più in generale, per realtà legate al settore della gastronomia. Scrive libri e disegna bicchieri da degustazione.

Markus Del Monego
Di origini svizzere, è il primo, e finora unico, tedesco ad aver ottenuto il titolo di miglior sommelier del mondo. É anche il primo sommelier della storia ad aver ottenuto contemporaneamente il prestigiosissimo titolo di Master of Wine. Dedica la maggior parte del suo tempo alla gestione della CaveCo, la sua società di consulenza.

Gérard Margeon
Pur non essendo mai stato nominato miglior sommelier del mondo, Gérard Margeon non poteva mancare in questa (parziale e arbitraria) classifica in virtù dell’influenza che esercita su tutto il settore e per la sua fama di “magnate”. Ottiene il primo incarico da sommelier a Biarritz, presso il Miramar, poi a Parigi al Méridien Montparnasse, qui avviene l’incontro con Ducasse e la svolta: il Louis XV di Monte Carlo. In quanto chef sommelier del gruppo Alain Ducasse, si ritrova a supervisionare quotidianamente la carta dei vini di decine di ristoranti e hotel sparsi nel mondo. È particolarmente noto per aver adottato un approccio diverso e innovativo al vino e alla sua degustazione.

L’arte di aprire una bottiglia di vino

Aprire una bottiglia di vino può sembrare un’operazione molto semplice da compiere ma che, a volte, in presenza di clienti o ospiti importanti, se si è alle prime armi o poco esperti, può creare situazioni imbarazzanti facendoci sembrare dei perfetti imbranati.
Vediamo, quindi, quali sono le azioni da compiere passo passo per evitare figure barbine e fare una bella impressione davanti agli altri in ogni occasione. Dopo tutto, bastano poche istruzioni e un po’ di allenamento!
Partiamo dalle basi, ovvero dalla cassetta degli attrezzi. Sono tre gli oggetti che dovrete avere con voi al momento di stappare una bottiglia:

1) Un cavatappi professionale
Di cavatappi ne esistono moltissimi, di ogni tipo e forma e possono essere scelti a seconda dei gusti e delle esigenze. Il cavatappi professionale, paradossalmente, è il più semplice di tutti e anche il più funzionale. Si compone di tre parti principali: la lama con cui si taglia la capsula; la spirale, detta anche “verme”, che si inserisce nel tappo; il braccio mobile con cui si fa leva sul collo della bottiglia per l’estrazione del tappo.

2) Un tovagliolo di stoffa
Un tovagliolo di qualsiasi tipo ma rigorosamente di stoffa, mai di carta! Servirà ad asciugare la bottiglia (nel caso in cui questa venga presa da un secchiello del ghiaccio), a ripulire il collo da eventuali macchie e residui e a estrarre il tappo (non fatelo direttamente con le mani). In realtà, al posto del comune tovagliolo, i professionisti dovrebbero utilizzare un panno apposito, chiamato “frangino”, una sorta di tovaglietta di cotone bianco. Ultimamente si sta diffondendo anche l’uso di un particolare tipo di frangino, il “torciòlo”. Si tratta di un tovagliolo, lucido e liscio al tatto, realizzato in un materiale “hi-tech” antimacchia. Il torciòlo ha la caratteristica di essere composto da due parti, una bianca e una rossa. Sulla parte bianca si poggia la bottiglia, in modo che sia più visibile e presentata più elegantemente, mentre la parte rossa serve a pulire il collo della bottiglia dalla polvere o dalle gocce di vino. Grazie al tipo di tessuto e al colore, il panno avrà comunque un aspetto pulito e ordinato. Questo particolare tovagliolo è inoltre dotato di un’asola in cui si inserisce il collo della bottiglia, ciò permette di mantenere ben salda la presa.

3) La bottiglia di vino
Prima di stappare la bottiglia è importante, dopo averla presa dal suo scomparto, verificare che non ci siano sedimenti sul fondo. Il cameriere deve portare la bottiglia al tavolo tenendola con il braccio sinistro e utilizzando il tovagliolo.
Dopo esserci dotati degli strumenti indispensabili vediamo cosa si deve fare. L’operazione dell’apertura di una bottiglia si articola generalmente in cinque azioni o passaggi:

– Taglio e rimozione della capsula
– Controllo e pulizia del collo della bottiglia
– Estrazione del tappo
– Esame del tappo
– Servizio

Analizziamo le singole azioni in dettaglio:
1-Il taglio della capsula si fa con la lama del cavatappi. Attenzione a come tagliate, anche l’occhio vuole la sua parte! Evitate di fare troppi tagli e in modo disordinato, incidete solo tre volte il materiale con cui è fatta la capsula: effettuate un primo taglio netto intorno al collo della bottiglia, in senso orario; procedete con un secondo taglio deciso in senso antiorario, per completare l’incisione; terminate con un terzo taglio dall’alto verso il basso, dal tappo all’incisione già fatta sul collo. Cercate di eseguire dei tagli precisi e profondi, così sarà molto facile rimuovere la capsula, basterà infatti infilare la lama del cavatappi sotto il rivestimento del tappo e questo verrà via facilmente. Durante questa operazione è importante tenere ben ferma e salda la bottiglia, senza inclinarla.
2-Una volta rimossa la capsula, togliere eventuali residui e pulire la parte alta della bottiglia nel caso in cui ci fosse della polvere. Per compiere queste azioni usate l’apposito tovagliolo di stoffa.
3-Inserite la punta della spirale al centro del tappo e iniziate ad avvitare scendendo man mano in profondità ma stando attenti a non arrivare a bucare la parte inferiore del tappo; fermatevi all’incirca a metà. Perforare il tappo da parte a parte non è molto elegante da un punto di vista estetico ma soprattutto rischia di far cadere dei residui di sughero nel vino. Estraete il tappo puntando la leva del cavatappi sul bordo del collo. È importante non piegare il sughero e soprattutto non fare rumore durante l’estrazione.
4-Prendete il tappo estratto con il tovagliolo e annusatelo per verificare che non abbia odore di sughero o muffa. Il profumo di vino dovrà essere l’unico odore percepito, altrimenti sarà necessario assaggiare il vino per valutarne la bontà e eventualmente prendere un’altra bottiglia. Verificare anche l’aspetto del tappo, non deve essere né troppo secco né troppo bagnato, ma umido per 2-3 millimetri.
5-Eccoci alla parte più importante, quella per cui sarete giudicati per la vostra eleganza e sicurezza: il servizio. Per fare una bella figura basta seguire queste semplici ma fondamentali indicazioni:

-Versate il vino nei bicchieri facendolo cadere dall’alto in modo che possa ossigenarsi.
-Fate attenzione a versare lentamente e a non toccare i bicchieri con la bottiglia.
-Abbiate cura di lasciare l’etichetta della bottiglia ben visibile.
-È importante, per evidenti ragioni, non far cadere il vino e non sgocciolare. Per ovviare a questa eventualità imbarazzante provate a ruotare un po’ la bottiglia dopo aver versato il vino.

Ricordate sempre che è importante cercare di compiere ogni azione con eleganza e disinvoltura, dando l’impressione di essere a proprio agio e padroni della situazione. Agite con sicurezza, per quanto possibile rispetto alla vostra effettiva abilità ed esperienza.

Il sommelier: i segreti di un lavoro diVino

Chi è
Nell’opinione comune il sommelier è colui che, avendo alle spalle un’ottima conoscenza del prodotto vinicolo, ha il compito di assaggiare e giudicare i vini, per poi servirli agli ospiti in sala. In realtà, pur avendo la cultura e la degustazione come terreno comune, l’assaggiatore e il sommelier sono due figure professionali diverse che ricoprono funzioni differenti: l’assaggiatore si occupa esclusivamente di testare il vino dandone un giudizio tecnico e una valutazione per quanto riguarda la qualità; il sommelier degusta e analizza il vino, ma poi si occupa di tutte quelle attività che concernono il contatto con il pubblico, cioè la presentazione e il servizio al tavolo, e soprattutto l’abbinamento alle portate. Quindi, se possiamo considerare l’assaggiatore uno specialista tecnico del vino, il sommelier si identifica di più con la figura di un buon comunicatore, e di conseguenza un buon venditore, capace di descrivere il vino in modo efficace, oltre che esatto.

Cosa fa
Il lavoro di sommelier si articola in due fasi: la prima, più defilata, dietro le quinte, riguarda la gestione della cantina; la seconda da protagonista, in sala, si esplicita a diretto contatto con il pubblico.
Il sommelier di un ristorante cura la cantina, di cui è responsabile, selezionando e valutando l’assortimento dei vini, che saranno attentamente scelti in base alla personalità del ristorante e alle sue proposte gastronomiche. Insieme al titolare o al direttore, procederà con l’acquisto di vini e spumanti tenendo conto del budget e dello stile del locale. Si occuperà pertanto di realizzare e aggiornare la carta dei vini, il suo principale strumento di vendita.
Un buon sommelier dovrebbe svolgere anche un’attività di scouting e quindi cercare nuove produzioni vinicole da presentare agli ospiti per arricchirne l’esperienza gustativa, “educandoli” e guidandoli in un percorso di continua scoperta.
Una parte importante del lavoro del sommelier si svolge, come abbiamo anticipato, in sala e a diretto contatto con il pubblico. A lui è riservato il compito di servire il vino (solo ed esclusivamente vino, mai acqua o altre bevande) agli ospiti. Una volta che il cliente ha scelto l’etichetta, il sommelier, dopo aver aperto la bottiglia davanti agli ospiti, deve procedere con la verifica olfattiva e l’assaggio; dopo di che deve far assaggiare a sua volta il vino all’ospite più esperto e, in seguito alla sua approvazione, servirlo a tutti gli ospiti secondo le regole e la dovuta eleganza.

Caratteristiche e competenze
Le principali caratteristiche che deve possedere chi vuole esercitare questa professione sono: una buona sensibilità olfattiva e una certa capacità di degustazione. A queste doti naturali si aggiungono le conoscenze necessarie relative al mondo del vino a tutto tondo. Per quanto riguarda l’aspetto teorico, il sommelier deve essere ben informato sulle tecniche di coltivazione, di produzione e conservazione dei vini, nonché su quelle di degustazione, ovviamente. Una buona cultura generale gastronomica completa il profilo.

Da un punto di vista più pratico, invece, deve essere abile nel servizio, nell’utilizzo degli strumenti specifici e soprattutto nella comunicazione, è fondamentale infatti che sappia instaurare un buon rapporto con i clienti, che riesca presentare il vino in modo interessante e convincente, coniugando l’analisi tecnica del prodotto al suo “racconto”.

Gli attrezzi del mestiere
Il sommelier presente in sala deve avere sempre con sé alcuni oggetti che gli sono utili per svolgere il servizio:

Il tastevin
Piccola ciotola o piattino in metallo argentato che serve per la degustazione. Si porta legato al collo principalmente per comodità ma col tempo è diventato quasi un ornamento, emblema della categoria. Oggi l’uso di questo strumento si fa sempre meno diffuso, la forma aperta della ciotola infatti non permette di valutare alcuni aspetti del vino, come il profumo; al suo posto si utilizza il bicchiere iso, un calice di cristallo considerato il bicchiere standard per la degustazione.

Il cavatappi
Il cavatappi professionale standard è composto da tre parti: la lama, la vite autofilettante e il dente di appoggio per l’estrazione del tappo. Deve essere di piccole dimensioni per poter essere tenuto sempre in tasca e avere un aspetto piacevole, sobrio ed elegante.

Il frangino
È un tovagliolo di servizio, interamente di cotone bianco o cromaticamente bipartito (una parte in cotone bianco e una in materiale antimacchia di colore rosso). Si utilizza per il trasporto della bottiglia al tavolo, per pulire e asciugare la bottiglia dopo aver versato il vino.

Il termometro
Altro accessorio imprescindibile, il termometro consente di verificare che la temperatura del vino da servire sia quella giusta, affinché le sue proprietà e caratteristiche restino intatte nel momento in cui viene versato.

Divisa
L’abbigliamento del sommelier deve distinguersi da quello del resto del personale di sala. Generalmente indossa lo smoking, ma in situazioni particolarmente formali o eleganti è raccomandabile indossare il frac. In alcuni ristoranti il sommelier indossa un grembiule lungo nero, abbinato a camicia bianca e pantaloni neri.

Percorso formativo e sbocchi professionali
Quella del sommelier è una professione altamente qualificata, e il “comunicatore di vino” è ormai universalmente riconosciuto come figura chiave nella ristorazione, oltre ad aver acquisito anche un certo prestigio sociale.
Per diventare sommelier è necessario seguire un corso della durata di circa tre anni (per accedere al corso non sono richiesti titoli di studio) al termine del quale si entra in possesso di un attestato. Le due associazioni italiane che possono rilasciare questo certificato sono: l’Associazione Italiana Sommelier (ais) e la Federazione Italiana Sommelier Albergatori Ristoratori (fisar). Durante questo percorso formativo si acquisiscono conoscenze e competenze nel campo dell’enologia, dell’enografia (la geografia del vino) e sui principi dell’abbinamento con il cibo.
Gli sbocchi professionali sono molteplici e numerosi: si può lavorare nei ristoranti o nelle enoteche di alto livello, nelle cantine, nelle aziende vinicole come consulenti; si può essere ingaggiati per fiere e manifestazioni gastronomiche, o essere impiegati nella grande distribuzione. Dopo aver maturato una certa esperienza si può anche diventare wine manager presso grandi aziende che operano nella ristorazione o presso catene alberghiere.

Vino e crisi. Nuove abitudini, nuove tendenze

Se negli Stati Uniti il consumo di vino è da sempre legato a categorie e ambienti sociali più elevati, in paesi come l’Italia o la Francia il nettare degli dei si presta tradizionalmente a un uso diffuso e quotidiano, indifferentemente dal ceto sociale di appartenenza.
Ma in tempi di crisi tutto cambia, cambiano i consumi, ovviamente, e di conseguenza le abitudini, rendendo necessario un ridimensionamento di tutti i comparti produttivi e di quelli dei servizi. Se negozi e supermercati tentano di adattarsi a questo periodo in cui la cinghia è sempre più tirata e affrontano il calo dei consumi con sconti e offerte, vediamo come viticoltori, ristoranti e enoteche si adeguano ai nuovi standard.
Negli ultimi anni, per far fronte alla diminuzione dei consumi e per venire incontro, per quanto possibile, alle nuove esigenze dei clienti, si è assistito a un graduale ma costante assottigliamento delle carte dei vini. La proposta enologica di ristoranti e locali è andata contraendosi sia dal punto di vista del numero di etichette offerte sia dal punto di vista dei prezzi fissati. In generale la tendenza dei gestori è quella di razionalizzare la cantina, privilegiando vini a minor prezzo e produzioni autoctone e locali. Vini famosi, nomi altisonanti e prezzi importanti lasciano il passo a etichette meno note e costose ma di buona qualità.
Cambia l’offerta ma anche la domanda si modifica e si allinea ai tempi moderni, si innestano così nuove esigenze e abitudini, come dimostra l’aumento della richiesta di bottiglie di piccolo formato, di vino al bicchiere e la moda di portarsi a casa il vino avanzato dalla cena al ristorante. I clienti sono oggi meno propensi a spendere molto e sempre più disposti a rifornirsi presso la grande distribuzione.
La diminuzione delle quantità consumate in parte è da attribuire anche alla legge sul tasso alcolico che, riferiscono gli addetti ai lavori, ha fatto registrare un drastico abbassamento dell’acquisto delle bottiglie a fronte dell’aumento dell’acquisto di calici.

Bisogna però considerare che la trasformazione delle carte dei vini non è legata esclusivamente a volontà di ridimensionamento per motivi economici. In parte dipende anche da cambiamenti culturali e dalle nuove tendenze gastronomiche che stanno prendendo piede nelle cucine, dove diventa sempre più frequente e diffusa l’abitudine di proporre piatti e cibi locali che richiamano a loro volta vini del territorio.
Sono molteplici i fattori a cui si può imputare il cambiamento delle abitudini di acquisto del vino, tanti sono gli elementi che intervengono a modificare quantità, tempi e modi di consumo. Per esempio si deve notare che oggi esiste una maggiore consapevolezza per tutto ciò che riguarda la salute e il benessere psicofisico, ciò ha comportato una riduzione generale delle quantità consumate. Occorre poi osservare che l’identikit del consumatore di vino odierno è molto diverso rispetto a quello di qualche anno fa, un consumatore oggi molto più competente, informato e anche curioso (ne è una prova tangibile il proliferare di corso di degustazione), che mangia e beve in modo responsabile. Da qui derivano i cambiamenti in ambito produttivo, come la tendenza a immettere sul mercato vini sempre meno alcolici, contenenti livelli sempre più bassi di solfiti, che impattano in maniera minore sull’organismo umano.
Una condizione economica non proprio favorevole, per usare un eufemismo, e varie trasformazioni culturali non hanno prodotto, come abbiamo visto, esclusivamente conseguenze e trend negativi. I ristoratori hanno fatto di necessità virtù e l’esigenza di contenere spese e proposte li ha spinti a incrementare l’attività di ricerca e scouting, incentivandoli a guardare anche tra le piccole produzioni con l’obiettivo di trovare prodotti che offrano il miglior rapporto qualità-prezzo. La crisi ha inoltre costretto produttori e commercianti a uno sforzo innovatore che ha influenzato anche aspetti finora gestiti con metodologie classiche e tradizionali come le tecniche di vendita e marketing. Oggi, ad esempio, si registra una grande attenzione all’aspetto più commerciale, con un ripensamento del posizionamento del prodotto vino sul mercato e nuovi studi su confezioni e packaging accattivanti. Si comincia a considerare l’idea di proporre il prodotto enologico in modo diverso, più divertente, sulla base del fatto che sta cambiando il target dei consumatori finali. In questa ottica si deve considerare l’affermarsi di nuove tendenze come quella di degustare il Lambrusco come aperitivo, o il fatto che alcuni vini come il Raboso del Piave vengano utilizzati come base per alcuni cocktail. Mode, queste, che potrebbero portare a un avvicinamento al vino delle nuove generazioni che invece tradizionalmente prediligono l’assunzione di superalcolici.
Un altro elemento interessante da considerare è l’andamento dell’eno-turismo, in costante aumento nell’ultimo decennio, dunque nettamente in controtendenza rispetto alla riduzione dei consumi. Un business dalle potenzialità enormi ma non ancora sfruttate a pieno, che potrebbe fare da traino e leva per altri comparti del turismo, poiché incentiva la riscoperta e la valorizzazione della cucina tipica tradizionale e delle aree rurali della nostra penisola.
Anche dal punto di vista della formazione il vino continua a essere grande protagonista: corsi di avvicinamento al vino sempre più numerosi e di successo, corsi intensivi, super professionalizzanti, accademie, master… sono infinite le formule che oggi vengono proposte a chiunque voglia saperne di più o voglia costruire sul vino una solida carriera professionale.
Quello del vino e del cibo in generale, quando sono buoni e di qualità, può essere considerato senza dubbio un settore strategico per la nostra economia. È proprio sulla valorizzazione delle nostre eccellenze eno-gastronomiche che si dovrebbe puntare per un rilancio economico del paese. La formazione di nuove figure professionali capaci di mettere a punto nuovi brand, nuovi tipi di servizi e strategie, coniugando la secolare conoscenza italiana nel campo eno-gastronomico con le più attuali competenze manageriali, potrebbe far decollare il settore facendone esprimere le straordinarie potenzialità.

6 trucchi per un aperitivo perfetto

L’aperitivo, ormai già da qualche anno, è entrato a far parte delle abitudini quotidiane di una buona parte della popolazione italiana. Un vero e proprio rito sociale che si celebra alla fine di svariate ore di lavoro, per concludere in modo rilassato e in buona compagnia la parte più stressante della giornata.
Dalle grandi città del nord, Milano in testa, l’happy hour ha colonizzato tutta la penisola conquistando soprattutto un pubblico giovane, nella maggior parte dei casi mondano e modaiolo, che poco prima dell’ora di cena si ritrova attorno a un tavolino, con un bicchiere da sorseggiare e stuzzichini da sgranocchiare.
L’aperitivo è diventato così un’occasione ghiotta per bar, enoteche e locali di vario genere che, con una spesa contenuta, riescono ad attrarre frotte di ragazzi e uomini di affari, cavandosela offrendo drink e assaggini. Non c’è bisogno di aggiungere che le casse ne traggono grossi benefici, così come le tasche dei clienti, i quali con una decina di euro al massimo bevono e mangiano, al punto di poter fare tranquillamente a meno della cena.
Le formule in cui declinare l’aperitivo sono infinite, ogni bar decide quantità e qualità di drink e cibi da servire. Se si è fortunati, si avrà a disposizione un ricco e vario buffet presso cui rifornirsi a volontà, ma se la fortuna non assiste e non si azzecca il posto giusto, ci si vedrà rifilare poco più di noccioline rancide e patatine ammosciate. La disorganizzazione e la mancanza di inventiva da parte dei gestori possono procurare danni ingenti e mandare in fumo un’ottima occasione di guadagno e fidelizzazione del cliente.
Vediamo allora come preparare, in poche e semplici mosse, un aperitivo che sia all’altezza delle esigenze dei clienti e capace di sbaragliare la concorrenza.

Sfruttare lo spazio esterno
Se si ha la fortuna di avere a disposizione uno spazio esterno, è opportuno sfruttarlo il più possibile per il momento dell’aperitivo, soprattutto con l’arrivo della bella stagione, momento in cui tutti hanno più voglia di uscire e passare qualche ora fuori casa. La cosa migliore sarebbe allestire una piccola veranda (magari delimitandola con bei vasi e piante) con tavolini e sedie, di design o comunque piacevoli esteticamente e in armonia con il contesto urbano.

Curare l’organizzazione
A prescindere dal fatto che si abbia un minuscolo bar o un locale di 100mq, l’organizzazione e la gestione degli spazi è sempre fondamentale. Ciò a cui bisogna fare attenzione quando si prepara un buffet, soprattutto nell’orario (affollato) dell’aperitivo, è che questo venga posizionato in un punto facilmente accessibile ai clienti. Se si tratta di un servizio self-service occorre evitare in ogni modo che si creino ingorghi o file; tutto il necessario, come posate e tovaglioli, deve essere ben posizionato. Mirare sempre alla funzionalità e alla praticità del servizio.

Anche l’occhio vuole la sua parte
È una massima che vale in ogni circostanza e soprattutto in ambito cibo, dove la presentazione diventa determinante e cambia la percezione del cibo stesso. Soprattutto nel servizio self-service la disposizione di piatti e stuzzichini è particolarmente importante, dovrà essere ordinata ma anche esteticamente efficace per invitare a consumare. Bisogna fare attenzione anche al colore e al tipo di piatti e vassoi, che vanno scelti in base al contenuto. Per dare un’aria più chic e gourmet al vostro aperitivo potete servire gli assaggini all’interno di bicchieri o in mini porzioni servite in un cucchiaio.

Stabilire un prezzo ragionevole
Il prezzo dell’aperitivo varia in base a diversi parametri, non ultimi la città e la posizione del locale che offre il servizio. Anche la qualità e la quantità delle bevande e dei cibi offerti incide molto sul costo finale, ma in media, i prezzi di un happy hour standard vanno dai 5 ai 12 euro. Sarebbe opportuno tenersi entro questo range proprio per mantenere la consumazione economicamente appetibile per un pubblico vasto, anche in considerazione del fatto che i maggiori appassionati di aperitivo sono ragazzi che, generalmente, hanno una minore disponibilità economica.

Curare l’offerta gastronomica
Se si riesce ad accompagnare al prezzo contenuto una proposta in fatto di cibo soddisfacente e varia, il successo è assicurato e la maggior parte dei clienti sarà ben disposta a tornare nello stesso posto. A patto, però, che si faccia uno sforzo di originalità e non si dia l’impressione di rifilare gli avanzi del pranzo. Gli stuzzichini non devono mancare, ma si possono evitare le solite noccioline e le patatine in busta, da sostituire con qualche tartina di baguette dal gusto insolito, chips fatte in casa, fritte o nella versione light al forno, o magari crudité, accompagnate, ad esempio, da una salsa allo yogurt. Se si vuole (e se si può) osare, è possibile inserire nel buffet anche ostriche e altri frutti di mare.
Tra i piatti freddi, bandire le solite insalate di pasta e mettere al loro posto couscous, farro con verdure o orzotti. Si può optare anche per insalate sfiziose con l’aggiunta di frutta e assaggi di formaggi con marmellate. Per i piatti caldi, si può proporre un primo, delle crocchette e sformatini di verdura monoporzione.
Infine, tenere sempre conto delle “minoranze”, sempre più diffuse, occhio quindi a celiaci, vegetariani e persone a dieta.

Ampliare l’offerta dei drink
Il momento dell’happy hour va considerato importante come quello del dopocena, quindi l’impegno e l’offerta dei drink devono restare a un certo standard. Un buon aperitivo non può limitarsi a Mojito e Spritz, deve prevedere una selezione di cocktail alcolici e analcolici, di prosecchi e vini, possibilmente frizzanti e freschi, più adatti al contesto. Si può anche tentare di stimolare i clienti con proposte nuove, come vini della zona e birre artigianali.

La carta dei vini

La carta dei vini rappresenta l’assortimento della cantina di un ristorante e riflette, insieme al menu, l’identità di un locale.
E’ importante quindi saperla costruire per poter promuovere al meglio la proprio proposta enologica.
Ogni ristoratore sceglie le etichette dei vitigni che preferisce, che considera più adatte alla sua proposta culinaria o che ritiene più in linea con il suo pubblico-target di riferimento. Utilizziamo volutamente il termine “target”, parola principalmente legata al mondo del marketing, proprio perché la carta dei vini deve essere pensata, ideata e costruita con la consapevolezza che svolgerà un ruolo fondamentale proprio a livello di comunicazione e promozione.
Una buona carta dei vini può diventare un importante strumento promozionale che va quindi studiato appositamente e curato nei dettagli. Bisogna inoltre ricordare che il cliente di oggi è molto diverso da quello di ieri per quanto riguarda la preparazione e la consapevolezza. Sono molto più numerosi oggi gli esperti ma anche i semplici appassionati che possiedono una conoscenza piuttosto approfondita del mercato vinicolo. Avendo maggiori strumenti, sicuramente sono più attenti e critici rispetto a quanto viene loro offerto, per questo la carta dei vini deve essere il risultato di un lavoro accurato, anche nei locali di livello medio.
La prima cosa che un ristoratore deve fare al momento di costruire la sua carta dei vini è focalizzarsi su due semplici domande: quali vini proporre e in che quantità. Non è necessario presentare una lista lunghissima o un tomo da enciclopedia per cercare di fare una buona impressione e per dare un’immagine positiva del locale, è molto più apprezzata una selezione magari ristretta ma ben pensata, scelta con cura e in linea con l’identità della cucina proposta. Venti o trenta etichette selezionate con gusto sono più che sufficienti. È importante scegliere senza preoccuparsi della quantità, e per iniziare si può seguire un semplice ma efficace criterio: il numero dei vini offerti deve corrispondere in linea generale al numero dei piatti proposti nel menu. Ricordiamo inoltre che liste chilometriche possono sortire l’effetto contrario rispetto a quello desiderato, invece che attrarre e colpire positivamente il cliente, il più delle volte lo confondono e intimoriscono, soprattutto se poco avvezzo alla scelta del vino.
Un buon modo per iniziare a pianificare la propria offerta enologica è informarsi il più possibile per avere una conoscenza generale e successivamente cominciare a cercare, magari facendo un po’ di scouting tra le piccole realtà produttive. Un consiglio può essere quello di partire da vini del proprio territorio di riferimento e poi man mano ampliare, iniziare dalle scelte basilari e successivamente arricchire l’offerta con qualcosa di nuovo o di più originale che denoti la passione del ristoratore e evidenzi il lavoro di ricerca fatto. Anziché strafare, è preferibile farsi guidare dal semplice buon senso quindi evitare di fare scelte troppo legate alle mode e iniziare selezionando vini che si abbinano alle proprie proposte culinarie.
Una volta individuati i vini, si passa alla realizzazione pratica della carta. L’aspetto stilistico e comunicativo è decisivo nella presentazione dell’offerta. Sarà necessario trovare il modo più corretto ma soprattutto efficace per descrivere i vini da proporre. È importante cercare di trasmettere la conoscenza del settore ma anche la passione, senza esagerare ovviamente, la chiarezza è, infatti, un altro dei requisiti da soddisfare. Chiarezza, semplicità e sintesi, dunque. Non serve scrivere testi ridondanti, anche perché bisogna tenere conto del fatto che la carta dei vini ha un ottimo aiutante: il sommelier. A lui spetta il compito di dare spiegazioni e consigli su cosa degustare, saprà quindi integrare le informazioni contenute nella carta con la sua personale esperienza: essendo perfettamente informato sulle etichette proposte può interagire e dialogare con gli ospiti, suggerendo i migliori abbinamenti con i piatti scelti.
Ma quali sono le caratteristiche che deve avere una carta dei vini per essere ben fatta e ben proposta? Vediamole qui di seguito:
– Correttezza
La carta dei vini deve riportare i nomi e le etichette che effettivamente sono presenti nella cantina del ristorante. Non è consigliabile inserire vini che in realtà non sono disponibili solo per dare l’impressione di un assortimento più vasto. È piuttosto spiacevole per il cliente, magari dopo una lunga indecisione, chiedere una particolare etichetta e sentirsi rispondere che in realtà non c’è.
– Aggiornamento.
La proposta dei vini deve essere aggiornata il più frequentemente possibile sia per evitare i disguidi di cui sopra sia, al contrario, per poter dare visibilità a un’etichetta scoperta e inserita da poco nell’offerta. In linea di massima dovrebbe essere aggiornata almeno due volte durante l’anno, nello specifico in corrispondenza del periodo delle vendemmie e dell’uscita di nuove etichette.
– Offerta alla mescita.
Sarebbe opportuno offrire sempre una selezione di vini alla mescita che andrà a integrare la carta. Questo, oltre a ampliare la scelta, comunicherà un’idea più dinamica e varia delle proposte.
– Classificazione chiara
I vini generalmente sono elencati e proposti in base alla tipologia (spumanti, champagne, bianchi, rossi, vini da dessert etc). È possibile, anzi raccomandabile, creare delle sottosezioni per rendere più chiara la carta, ad esempio classificare per provenienza geografica o scegliere l’ordine alfabetico.
– Informazioni indispensabili
Ogni vino può essere corredato da descrizioni più o meno dettagliate che ne indicano le qualità o caratteristiche; cosa mettere in evidenza di una certa etichetta è infatti una libera scelta del ristoratore. Si può ad esempio arricchire la presentazione di un vino indicandone il grado alcolico o la descrizione organolettica. Al di là dell’arbitrarietà, però, ci sono delle informazioni indispensabili che devono essere comunicate all’ospite perché possa scegliere in piena libertà e consapevolezza: il nome (denominazione, cantina e vino), l’anno, il prezzo, il formato della bottiglia.
– Aspetti grafici e stilistici
Come per il menu, anche nella realizzazione della carta dei vini è fondamentale privilegiare la leggibilità e la chiarezza rispetto agli aspetti decorativi. Una cosa non esclude l’altra ma è fondamentale che la lista sia facilmente fruibile, quindi fare attenzione a scegliere per esempio una grafia o una font semplice e chiara, o una spaziatura che faciliti la lettura.
-Prezzi adeguati
Il prezzo è sicuramente un fondamentale strumento di marketing, è molto importante riuscire a stabilire il giusto costo della vostra selezione di vini. Sebbene la definizione del prezzo sia un’operazione molto arbitraria che deve tenere conto di fattori e considerazioni che variano da locale a locale, nella fase decisionale si devono tenere presenti tre elementi principali: la qualità del vino offerto, il target di riferimento e la tipologia di ristorante.